sabato 18 luglio 2020

Recensione in ANTEPRIMA: Middlegame di Seanan McGuire

Buongiorno lettori, vi lascio oggi con la recensione in anteprima di Middlegame di Seanan McGuire in uscita per Mondadori il 21 Luglio 2020. Ringrazio la casa editrice per avermi fornito copia digitale del libro.

Titolo: Middlegame (Middlegame #1)
Autore: Seanan McGuire
Editore: Mondadori
Prezzo: 22,00
Pagine: 528
Data uscita: 21 Luglio 2020
Ecco Roger. Ha un vero dono per le parole, comprende istintivamente ogni linguaggio e sa che è il potere delle storie a regolare i meccanismi dell'universo. Ed ecco Dodger. E la sorella di Roger, la sua gemella per la precisione. Anche lei ha un dono, per i numeri: sono il suo mondo, la sua ossessione, il suo tutto. Qualunque cosa le si presenti alla mente, Dodger la elabora con il potere della matematica. I due fratelli non sono propriamente umani, anche se non lo sanno. Non sono neanche propriamente divini. Non del tutto... non ancora. E poi c'è Reed, esperto alchimista, come la sua progenitrice. E stato lui a dare vita ai gemelli. Non si potrebbe definirlo il loro "padre". Non proprio. Ma come tutti i genitori, per i due ragazzi ha un piano ambizioso: far sì che raggiungano il potere assoluto, e poi reclamarlo per sé. Diventare "dei in Terra" è una cosa possibile. Pregate soltanto che non accada.

Seth e Beth, defunti, inceneriti, dissezionati; Andy e Sandy, caparbi, insensibili, insignificanti. Saranno presto eliminati, naufragheranno davanti a qualche massiccio e inaspettato cambiamento. Dodger e Roger sono l’ultima speranza della loro generazione, ma adesso, a vederla così, è difficile credere che quella speranza possa dare dei frutti. Forse è il momento di ricominciare da capo. Eppure l’astrolabio si è messo a vorticare all'indietro nell'istante in cui loro due sono venuti al mondo. La loro nascita ha dato inizio alla parte conclusiva del piano, e Reed vuole che siano loro, oh sì, vuole che siano loro. Anche se non hanno la forza sufficiente a condurlo alla Città, vuole che siano loro a esaurire pienamente la Dottrina. - Tratto da Middlegame di Seanan McGuire

Ci sono due tipi di rapporto tra fratelli, uno, quello di assoluto amore e senso di protezione l'uno verso l'altro, con qualche litigata certo, ma poi la pace subito dietro l'angolo. L'altro fatto di assoluto odio e intolleranza con litigi continui per qualsiasi piccola cosa. Chi ha un fratello o una sorella sa, quanto può essere facile o difficile il rapporto di crescita o tolleranza l'uno verso l'altro.
Dodger e Roger sono gemelli, senza però saperlo. Sono cresciuti separati, insieme alle famiglie adottive. Da piccoli hanno una connessione, senza riuscire a capire quella voce così strana ma così reale dentro le proprie teste. Un "amico immaginario" ma che supera di gran lunga l'immaginazione. Perché è impossibile che sia tutto finto, frutto di una creazione. La paura di essere presi per pazzi a condividere la scoperta di poter "comunicare" con la mente con un'altra persona, pian piano si crea sintonia e così, senza farsi più troppe domande, entrambi i ragazzi accettano di avere un "dono".  Si aiutano a vicenda con i compiti a scuola, perché oltre a poter comunicare possono vedere con gli occhi dell'altro. Dodger ha nel sangue la matematica, i calcoli. E' più avanti di tutti gli altri studenti nella sua materia preferita. Roger padrona il linguaggio, le lettere, le parole e i significati. Ma Dodger e Roger non sanno di essere bambini cuculi creati in laboratorio da Reed, creato lui stesso dalla migliore alchimista dei suoi tempi Asphodel Baker. Non sanno cosa gli aspetta una volta cresciuti, non sanno a cosa può portare la loro connessione. Non sanno, per cosa sono stati realmente creati.

Avrebbero dovuto venire su incompleti, privi di qualunque potere, inadatti al gigantesco, spaventoso mondo degli individui nati con mezzi naturali e non creati come incarnazioni di metafore. Avrebbero dovuto suicidarsi entro i diciott'anni, oppure essere imbottiti di psicofarmaci da adulti ansiosi di “aggiustarli”. È davvero impossibile che si siano trovati, abbiano stretto un legame, aperto una via di comunicazione e siano riusciti a mantenerla attiva anno dopo anno, malgrado tutti gli ostacoli. Ciò che hanno fatto, ciò che sono diventati... è impossibile. - Tratto da Middlegame di Seanan McGuire

Con i migliori auspici e le recensioni entusiaste di Middlegame (senza contare i premi all'autrice), mi sono fiondata nella lettura carica di aspettative. L'impatto è stato confusionario, entrare nel mondo degli alchimisti e della storia creata dall'autrice ha avuto bisogno di una spinta, ma poi la spinta non è bastata. C'è bisogno di esser accompagnati continuamente mano nella mano per poter leggere e comprendere appieno tutto ciò che è racchiuso all'interno del romanzo. La curiosità di capire, conoscere di più è continua, grazie alla sensazione che tutto sia in qualche modo sospeso. Allo stesso tempo non ci è possibile distrarci un attimo, che ecco il caos impadronirsi di tutto. Ammetto che forse la lettura con il libro fisico sarebbe stata più semplice. Ho sentito la necessità di tornare indietro, rileggere, ricollegare. Ma con il formato pdf è stato difficile. Ci sono continui salti temporali, poi il tutto si mischia. Diversi punti di vista, sprazzi del libro Sopra-Sotto che inizialmente non avevo compreso, ma che poi si è fatto più chiaro col proseguo della lettura.
Insomma, Middlegame non è un libro facile, ma oltre a ciò il problema maggiore è stato l'inserimento di interi capitoli a mio parere superflui o protratti troppo a lungo (tipo l'accompagnarci verso tutta la crescita dei protagonisti) che hanno reso la lettura molto lenta. Molto affascinante però l'intera trama su cui ruota il libro, che a tratti ricorda Frankestein, con il creatore che viene ucciso dalla sua "bestia". Incredibile la padronanza dell'autrice sull'argomento. Adorabile e invidiabile il rapporto tra i protagonisti.
Consigliato agli amanti del Fantasy e a chi ama la connessione assoluta dei personaggi, con qualche spargimento di sangue.

3/5

giovedì 9 luglio 2020

Recensione - Il libro dei Baltimore di Joël Dicker

Joël Dicker è un autore che ho conosciuto grazie al romanzo "La verità sul caso Harry Quebert" , letto ormai nel lontano 2016 e che ho letteralmente divorato nonostante la sua mole. Ho aspettato un po' a leggere questo secondo volume, che riprende il personaggio di Marcus Goldman, ma che si può tranquillamente leggere anche a parte (per chi come me non si ricorda benissimo il primo). Perché qui la storia ha come protagonisti, come da titolo, i Baltimore.

Titolo: Il libro dei Baltimore (Marcus Goldman #2)
Autore: Joël Dicker
Editore: La nave di Teseo
Prezzo: 14,50
Pagine: 592
Data uscita: 10 Maggio 2018

Sino al giorno della Tragedia, c'erano due famiglie Goldman. I Goldman di Baltimore e i Goldman di Montclair. Di quest'ultimo ramo fa parte Marcus Goldman, il protagonista di "La verità sul caso Harry Quebert". I Goldman di Montclair, New Jersey, sono una famiglia della classe media e abitano in un piccolo appartamento. I Goldman di Baltimore, invece, sono una famiglia ricca e vivono in una bellissima casa nel quartiere residenziale di Oak Park. A loro, alla loro prosperità, alla loro felicità, Marcus ha guardato con ammirazione sin da piccolo, quando lui e i suoi cugini, Hillel e Woody, amavano di uno stesso e intenso amore Alexandra. Otto anni dopo una misteriosa tragedia, Marcus decide di raccontare la storia della sua famiglia: torna con la memoria alla vita e al destino dei Goldman di Baltimore, alle vacanze in Florida e negli Hamptons, ai gloriosi anni di scuola. Ma c'è qualcosa, nella sua ricostruzione, che gli sfugge. Vede scorrere gli anni, scolorire la patina scintillante dei Baltimore, incrinarsi l'amicizia che sembrava eterna con Woody, Hillel e Alexandra. Fino al giorno della Tragedia. E da quel giorno Marcus è ossessionato da una domanda: cosa è veramente accaduto ai Goldman di Baltimore? Qual è il loro inconfessabile segreto?

Il libro dei Baltimore è sicuramente un libro poco impegnativo e scorrevole, si legge in qualche giorno proprio in perfetto stile Joël Dicker. Ho amato e divorato “La verità sul caso Harry Quebert” (primo della serie Marcus Goldman, ma leggibili entrambi separatamente) nonostante ammetta sia passato un bel po’ di tempo e la mia memoria andrebbe rinfrescata e sarebbe tra l'altro una piacevole rilettura. Ne “Il libro dei Baltimore” ho ritrovato uno stile piacevole, ma purtroppo la storia non ha soddisfatto le mie aspettative. La trama ruota attorno alle due famiglie Goldman, quella dei fantastici e invidiati “Goldman di Baltimore” ricchi e proprietari delle diverse villeggiature dove si riuniscono entrambe le famiglie e i “Goldman di Montclair", più semplici, umili e messi in secondo piano. Una Tragedia ha cambiato tutto, da un giorno all’altro. Ed è così, come nel precedente libro, che il protagonista Marcus ci narra la storia come scrittore che scrive e descrive gli avvenimenti dei Baltimore per la stesura del suo libro, all’interno del libro. Hillel, mingherlino, minuto, debole. Woody, forte, temerario, giusto. Marcus, invidioso, sognatore, ammiratore. Tre cugini, di cui Woody “acquisito” e tolto dalla strada, creano estate dopo estate un legame indissolubile. La gang dei Goldman, i tre amici inseparabili. Ma Marcus, l’unico Goldman di Montclair sembra rimanere sempre un po’ indietro. Perché non è nato anche lui come un Baltimore? E poi la bellissima Alexandra, più grande, bella. Come non far impazzire tre ragazzini? La storia scorre via velocemente, ma anche un po’ passivamente, per il genere. L’attenzione del lettore viene catapultata più sul rimanere affascinati dal lusso dei Baltimore e dal legame bellissimo che stringono i cugini Goldman. La tragedia passa quasi in secondo piano, e poi quando arriviamo finalmente a conoscerne i dettagli. Bam. Niente di spettacolare. Dopo tutte le immaginazioni su quale possa essere stata tale "Tragedia" proprio con la T maiuscola, ecco che una volta lì spiegata tra le pagine il mio pensiero è stato: tutto qui? La delusione c'è stata, ma la storia dei Baltimore rimane comunque una lettura molto carina. Dell'autore sono sicura continuerò a leggere anche gli altri libri.


3/5

venerdì 19 giugno 2020

Recensione - Epepe di Ferenc Karinthy

Titolo: Epepe
Autore: Ferenc Karinthy
Editore: Adelphi
Prezzo: 13,00
Pagine: 217
Data uscita: 05 Ottobre 2017
Ci sono libri che hanno la prodigiosa, temibile capacità di dare, semplicemente, corpo agli incubi. "Epepe" è uno di questi. Inutile, dopo averlo letto, tentare di scacciarlo dalla mente: vi resterà annidato, che lo vogliate o no. Immaginate di finire, per un beffardo disguido, in una labirintica città di cui ignorate nome e posizione geografica, dove si agita giorno e notte una folla oceanica, anonima e minacciosa. Immaginate di ritrovarvi senza documenti, senza denaro e punti di riferimento. Immaginate che gli abitanti di questa sterminata metropoli parlino una lingua impenetrabile, con un alfabeto vagamente simile alle rune gotiche e ai caratteri cuneiformi dei Sumeri - e immaginate che nessuno comprenda né la vostra né le lingue più diffuse. Se anche riuscite a immaginare tutto questo, non avrete che una pallida idea dell'angoscia e della rabbiosa frustrazione di Budai, il protagonista di "Epepe". Perché Budai, eminente linguista specializzato in ricerche etimologiche, ha familiarità con decine di idiomi diversi, doti logiche affinate da anni di lavoro scientifico e una caparbietà senza uguali. Eppure, il solo essere umano disposto a confortarlo, benché non lo capisca, pare sia la bionda ragazza che manovra l'ascensore di un hotel: una ragazza che si chiama Epepe, ma forse anche - chi può dirlo? - Bebe o Tetete.



Che trama curiosa, meravigliosa. Unito a quel ben parlarne sono partita completamente piena di aspettative nella lettura di Epepe. La storia è partita alla grande, mi affascinava tantissimo tutta l’idea sulla quale il libro ruota e immedesimarmi nel personaggio grazie all'esperto autore ha reso i disagi, le scomodità, l’estraneità, lo stupore del protagonista Budai come vissuti in prima persona.
Qual orrore venir catapultati in mezzo al casino verso una meta completamente sconosciuta. Anzi no, in realtà un bel viaggio misterioso potrebbe essere anche a dir poco piacevole. Ma la lingua. La comunicazione. Come poterne fare a meno?
È paradossale come un linguista come Budai con tutte le sue conoscenze sulle diverse lingue mondiali si ritrovi in difficoltà proprio con la sua materia principale. Un paradosso come nemmeno con le sue astute intuizioni riesca a giungere a capire nemmeno il saluto del luogo in cui si ritrova per errore. Un luogo in cui si trova per errore, ecco proprio questa, l'unica spiegazione. Helsinki era la sua destinazione, un convegno il motivo. Lui, un rinomato linguista. Eppure eccolo sbarcare nel disagio più totale: dove? Non si sa. Che lingua viene parlata? Sconosciuta. Senza soldi, senza documenti.

Profondo è il disagio che viene descritto dall'autore, tant'è che spesso mi è balenata in mente l’idea dell’isola deserta. Budai è circondato da milioni di persone, tante, tantissime, troppe. Talmente tante da dover fare la fila per qualsiasi, e con qualsiasi intendo proprio qualsiasi, cosa. Eppure è come se fosse solo. Completamente solo. Nessuno lo comprende, nemmeno con gesti a tentoni. In nessuna maniera riesce ad uscire da quella situazione. Si ritrova dunque a provare a fare il possibile nell'impossibile.

”Non dubitava che l'equivoco all’origine di tutto si sarebbe chiarito, e a quel punto lui sarebbe potuto ripartire subito, tuttavia ebbe un attimo di smarrimento: senza amici né conoscenti, privo di documenti, abbandonato in una città sconosciuta di cui ignorava perfino il nome, dove non capiva quel che dicevano e nessuno capiva lui, nonostante tutte le lingue che parlava, in quella inarrestabile e inestricabile massa umana, che non si diradava mai, non aveva ancora incontrato nessuno con cui scambiare due parole.”

Un gran peccato che nonostante l’interesse iniziale verso tutta la situazione e l’immedesimazione nella stessa pian piano il romanzo si sia disperso nella ripetizione. Per poi, perdermi completamente verso il finale: non mi interessava più. Idea fantastica, ma nell'insieme poco riuscito il continuare a mantenere l'attenzione e l'interesse del lettore. Singoli elementi presi separatamente fantastici, l'insieme  dispersivo.

2/5
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