venerdì 19 giugno 2020

Recensione - Epepe di Ferenc Karinthy

Titolo: Epepe
Autore: Ferenc Karinthy
Editore: Adelphi
Prezzo: 13,00
Pagine: 217
Data uscita: 05 Ottobre 2017
Ci sono libri che hanno la prodigiosa, temibile capacità di dare, semplicemente, corpo agli incubi. "Epepe" è uno di questi. Inutile, dopo averlo letto, tentare di scacciarlo dalla mente: vi resterà annidato, che lo vogliate o no. Immaginate di finire, per un beffardo disguido, in una labirintica città di cui ignorate nome e posizione geografica, dove si agita giorno e notte una folla oceanica, anonima e minacciosa. Immaginate di ritrovarvi senza documenti, senza denaro e punti di riferimento. Immaginate che gli abitanti di questa sterminata metropoli parlino una lingua impenetrabile, con un alfabeto vagamente simile alle rune gotiche e ai caratteri cuneiformi dei Sumeri - e immaginate che nessuno comprenda né la vostra né le lingue più diffuse. Se anche riuscite a immaginare tutto questo, non avrete che una pallida idea dell'angoscia e della rabbiosa frustrazione di Budai, il protagonista di "Epepe". Perché Budai, eminente linguista specializzato in ricerche etimologiche, ha familiarità con decine di idiomi diversi, doti logiche affinate da anni di lavoro scientifico e una caparbietà senza uguali. Eppure, il solo essere umano disposto a confortarlo, benché non lo capisca, pare sia la bionda ragazza che manovra l'ascensore di un hotel: una ragazza che si chiama Epepe, ma forse anche - chi può dirlo? - Bebe o Tetete.



Che trama curiosa, meravigliosa. Unito a quel ben parlarne sono partita completamente piena di aspettative nella lettura di Epepe. La storia è partita alla grande, mi affascinava tantissimo tutta l’idea sulla quale il libro ruota e immedesimarmi nel personaggio grazie all'esperto autore ha reso i disagi, le scomodità, l’estraneità, lo stupore del protagonista Budai come vissuti in prima persona.
Qual orrore venir catapultati in mezzo al casino verso una meta completamente sconosciuta. Anzi no, in realtà un bel viaggio misterioso potrebbe essere anche a dir poco piacevole. Ma la lingua. La comunicazione. Come poterne fare a meno?
È paradossale come un linguista come Budai con tutte le sue conoscenze sulle diverse lingue mondiali si ritrovi in difficoltà proprio con la sua materia principale. Un paradosso come nemmeno con le sue astute intuizioni riesca a giungere a capire nemmeno il saluto del luogo in cui si ritrova per errore. Un luogo in cui si trova per errore, ecco proprio questa, l'unica spiegazione. Helsinki era la sua destinazione, un convegno il motivo. Lui, un rinomato linguista. Eppure eccolo sbarcare nel disagio più totale: dove? Non si sa. Che lingua viene parlata? Sconosciuta. Senza soldi, senza documenti.

Profondo è il disagio che viene descritto dall'autore, tant'è che spesso mi è balenata in mente l’idea dell’isola deserta. Budai è circondato da milioni di persone, tante, tantissime, troppe. Talmente tante da dover fare la fila per qualsiasi, e con qualsiasi intendo proprio qualsiasi, cosa. Eppure è come se fosse solo. Completamente solo. Nessuno lo comprende, nemmeno con gesti a tentoni. In nessuna maniera riesce ad uscire da quella situazione. Si ritrova dunque a provare a fare il possibile nell'impossibile.

”Non dubitava che l'equivoco all’origine di tutto si sarebbe chiarito, e a quel punto lui sarebbe potuto ripartire subito, tuttavia ebbe un attimo di smarrimento: senza amici né conoscenti, privo di documenti, abbandonato in una città sconosciuta di cui ignorava perfino il nome, dove non capiva quel che dicevano e nessuno capiva lui, nonostante tutte le lingue che parlava, in quella inarrestabile e inestricabile massa umana, che non si diradava mai, non aveva ancora incontrato nessuno con cui scambiare due parole.”

Un gran peccato che nonostante l’interesse iniziale verso tutta la situazione e l’immedesimazione nella stessa pian piano il romanzo si sia disperso nella ripetizione. Per poi, perdermi completamente verso il finale: non mi interessava più. Idea fantastica, ma nell'insieme poco riuscito il continuare a mantenere l'attenzione e l'interesse del lettore. Singoli elementi presi separatamente fantastici, l'insieme  dispersivo.

2/5

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